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  • Immagine del redattoreLucia

Mappe, arcobaleni e domande

“Non diventiamo creativi, ma disimpariamo ad esserlo.”

Ken Robinson


“Cosa vuol dire che insegni creatività?”

Me l’hanno chiesto in tanti, negli ultimi anni. All’inizio la mia risposta era un sorriso, un’alzata di spalle, come a dire che era troppo complicato da spiegare così, incrociandosi nella sala d’attesa del dentista o prima della lezione di yoga. Poi, piano piano, ho provato a rispondere: e rispondendo mi sono resa conto che c’era un motivo se la gente faceva quell’unica, identica domanda.


A scuola si insegnano la matematica, l’italiano, le lingue straniere, economia e storia; si insegna arte, magari, ma non creatività. Non perché non serva, ma perché spesso la creatività spaventa, mette in discussione, complica le cose. E allora meglio stare sul semplice, non andare oltre gli steccati. Perché la creatività è sicuramente qualcosa di misterioso e unico per ognuno di noi, una sorta di miracolo simile alla salsa olandese o alla pazienza delle mamme, ma se è vero che non si può distribuire come i volantini nelle buche delle lettere è anche vero che si può ritrovare in noi stessi, se sappiamo dove e come cercare. Già, perché il problema con la creatività non è imparare qualcosa che non sappiamo, ma reimparare qualcosa che abbiamo perso per strada: una certa lucentezza nel grigiore, una sorta di arcobaleno nascosto tra i capelli, ecco.


Ed è questo che provo a fare, giorno dopo giorno: creo mappe per tornare alla sorgente, mappe diverse per ogni persona che incontro, alcune popolate da piante di rabarbaro gigante, altre di amichevoli fantasmi e castelli imponenti, altre ancora di foreste pluviali con felci altissime e uccelli lira. Una volta disegnata la mappa le domande diventano superflue, perché ci rendiamo conto di avere già le risposte pronte – le avevamo soltanto dimenticate.

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