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Immagine del redattoreLucia

L'altro lato della gioia



Questo è un post verità. Ieri sera rileggevo gli ultimi capitoli di “21 lezioni per il XXI secolo” e ad un certo punto Harari scrive che il 99% della nostra vita non finisce né sui social né sul web. Ovviamente si tratta del 99% imperfetto: dei litigi, degli imprevisti, di quelle volte in cui abbiamo i capelli pazzi e in cui siamo tristi. E allora mi sono detta che se è vero che in questo periodo le fragilità di tutti sono forse più accettate, è anche vero che non ce la contiamo proprio giusta.


No, non è questione di mentire: è questione di mostrare solo una parte, quella più patinata. La gioia delle piccole cose, di cui tanto parlo io stessa; la pizza impastata in casa; il tempo in più che abbiamo riconquistato; svegliarci con calma e lavorare da casa; i fiori del nostro giardino, per chi ha il giardino. Tutte cose vere e belle. Oggi, però, vorrei fare outing.


Vorrei dirvi che in questi due mesi, oltre a una quotidianità deliziosa, alle peonie, ai weekend che sembrano dilatarsi e regalare ore in più, oltre alla fortuna incommensurabile di stare bene e di avere i parenti vicini e sani, oltre a tutta questa fortuna incredibile e luminosa, il film quarantena ha mandato in onda anche:


La mia ipocondria. Le mani sfregate anche quando non è necessario, i vestiti lavati anche quando non serve, qualche scatola entrata in casa e nascosta in una stanza finché non passa un certo numero di ore deciso arbitrariamente affinché l’invisibile virus muoia. Le mascherine, che mi fanno paura solo a guardarle figurati a metterle.


Qualche litigio in più del solito, il giovedì sera. Perché proprio di giovedì, non l’abbiamo ancora ben capito. Qualche notte in meno di sonno, di tanto in tanto.


La nostalgia immensa per la natura, per gli spazi aperti, per gli alberi grandi; per le camminate; per le nostre gite insieme.


La paura: di morire soli, di lasciare che gli altri muoiano soli.


La cervicale che fa male, sempre.


L’improvvisa sensazione di soffocamento causata dall’impossibilità di progettare, di programmare, di immaginare il futuro.


Il sentirsi immobili, congelati – e allo stesso tempo vedere i giorni che ti scorrono via tra le dita portando la primavera.


Il lutto per tutte le occasioni mancate che non si ripeteranno. I riti che non è stato possibile celebrare. Il mio trentesimo compleanno che non sarà come pensavo ma che ricorderò di certo. Chi amiamo, sempre oltre lo schermo.


La sensazione di impotenza.


I capelli pazzi e il disperato bisogno di una ceretta fatta bene.


L’allontanarmi di scatto appena qualcuno si avvicina un centimetro di troppo.


La paura che nulla possa tornare come prima, anche se so che tutto cambia e che anche questo passerà.



Poi ci sono anche tutte quelle cose belle, tutta quella fortuna immensa che racconto ogni giorno su Instagram e sul mio diario della gratitudine. Sentivo, però, che fosse importante ricordarci che è un momento difficile anche per chi affronta sfide minime, in confronto a chi sta negli ospedali. Sentivo che fosse giusto mostrare anche quel pezzetto di me, di noi, che teniamo nascosto – perché è un pezzetto fragile e ci mostra nudi. Ma forse, se ci spogliamo tutti insieme – potremmo anche sentirci più forti.

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